L’anima tormentata dell’arte fra rivolta sociale e speculazione
Published: January, 2022, DomaniGli apostoli della democratizzazione dell’arte dovrebbero essere felici: l’arte contemporanea è diventata ampiamente accessibile, popolare e facile da digerire per il grande pubblico. Tutti sono artisti oggi – non nel senso beuysiano secondo cui tutti possediamo un potenziale di creatività artistica – ma in senso quasi letterale; legioni di artisti autodidatti stanno promuovendo con entusiasmo il loro lavoro su Instagram rivolgendosi a nuovi collezionisti che confidano nella capacità di giudizio dei loro occhi innocenti.
Il mercato internazionale dell’arte è in fervore, come molti altri mercati di beni di investimento, peraltro. Opere di giovani artisti che non hanno ancora dimostrato nessuna rilevanza storico-artistica o culturale vengono vendute per centinaia di migliaia o addirittura milioni di euro (si pensi a Flora Yukhnovich, Emily Mae Smith o Otis Kwame Kye Quaicoe). La fame di trofei di grandi nomi della storia dell’arte sembra insaziabile. Nuove possibilità tecniche rendono immediatamente disponibili le informazioni di mercato e traducono questi dati in classifiche e report ben confezionati. Non si dimentichino gli NFT, quelle strane creature, incarnazioni di certificati di autenticità, che vivono in una blockchain insieme a gatti, cani e codici informatici virtuali. In breve, il mondo dell’arte in espansione a livello globale è diventato veloce e frenetico, cambiando le relazioni tra produttori e consumatori e mettendo nel contempo in discussione le narrazioni e le autorità preesistenti.
Con il mio libro New Waves. Contemporary Art and The Issues Shaping its Tomorrow pubblicato da Skira ho tentato di capire cosa sta succedendo e come darvi un senso. Attraverso interviste ad artisti, curatori, collezionisti e specialisti del mercato dell’arte, il libro mi ha regalato, e spero dia ai lettori, spunti di prima mano su quei profondi cambiamenti che si intrecciano con affascinanti storie personali.
Una delle trasformazioni più eclatanti che hanno cambiato profondamente il mondo dell’arte è il processo di riscoperta e rivalutazione degli artisti del dopoguerra che solo di recente hanno ottenuto quel che spettava loro dopo anni di lavoro senza il giusto riconoscimento da parte del sistema dell’arte. Questo vale soprattutto per le artiste o gli artisti di colore, che non avevano possibilità di carriera perché il sistema dell’arte negava loro un giusto accesso. Gli americani Joan Semmel e Stanley Whitney, gli artisti britannici Lubaina Himid e Claudette Johnson sono la personificazione dell’attuale cambiamento del canone artistico del dopoguerra. Le loro carriere si sono evolute sullo sfondo di eventi importanti della recente storia americana ed europea e hanno acquisito un significato ulteriore nell’era del #metoo e del #blacklivesmatter, una prova di quanto l’arte sia radicata nel terreno sociale e politico del proprio tempo.
#meetoo e #blacklivesmatter hanno contribuito a un altro profondo cambiamento nel mondo dell’arte, l’attuale tendenza figurativa dominante talvolta orientata al kitsch. Le opere che ritraggono vite di persone di colore dipinte da artisti di colore o che lasciano intravedere l’habitus e la soggettività femminile dipinte da artiste sono diventate la tendenza di spicco. Siamo di fronte a un exploit di variazioni pittoriche su questi soggetti, il che è straordinario. Il problema è che questi argomenti potrebbero esonerare le opere da serie analisi di critica d’arte e che qualsiasi critica potrebbe essere “cancellata” con argomentazioni socio-politiche anziché teoriche, formali o storico-artistiche. Oggi è il contesto sociale a determinare il valore artistico, più che le considerazioni estetico-formali, poiché è il contesto sociale legato al femminismo, al multiculturalismo e al senso di colpa postcoloniale a mettere in mostra l’atteggiamento progressista di collezionisti e istituzioni.
Il ripensamento del canone dell’arte occidentale potrebbe avvenire grazie agli sforzi congiunti di collezionisti, istituzioni, critici e studiosi, rappresentati nel libro della collezionista americana, e trustee in diversi board di musei, Pamela Joyner, che da più di trent’anni è una sostenitrice degli artisti afroamericani, soprattutto di quelli che lavorano con l’astrazione. Ciò dimostra incidentalmente che la creazione di un valore culturale, sociale ed economico è una questione di sforzi congiunti di molti e diversi soggetti del mondo dell’arte; i grandi artisti non nascono grandi ma sono resi tali da un intero sistema.
La recente riscrittura del canone ha sfidato anche un altro concetto del mondo dell’arte: l’arte come territorio intellettuale progressista, aperto e inclusivo. Ora sappiamo che anche il mondo dell’arte è stato pesantemente prevenuto, oppressivo ed esclusorio. La risposta a queste rivelazioni è, direi, reazionaria: le istituzioni sono diventate più dogmatiche e timorose, con scarsa tolleranza nei confronti delle opinioni diverse da quelle del classico catechismo woke. Le mostre di artisti sospetti sono state cancellate, si pensi a Chuck Close, Jon Rafman o persino Philip Guston; I dipartimenti di storia dell’arte occidentale annullano i loro corsi d’arte perché sono troppo focalizzati sulla storia dell’arte occidentale, come è successo per esempio nel caso del Corso generale di storia dell’arte a Yale. Nuove generazioni di curatori e studiosi con diversi programmi stanno salendo alla ribalta rivendicando il loro potere in virtù delle loro conoscenze, delle loro abilità e dell’opportunità offerta dal bisogno di rivendicazione.
Questi cambiamenti hanno influenzato il nostro rapporto con il passato, che è cambiato a sua volta. Le avanguardie del primo Novecento volevano cancellare, almeno ideologicamente, la storia dell’arte e l’arte preesistente per ripartire da zero; essere moderni significava rifiutare il passato, questo era il motto che abbiamo portato avanti per tutto il Ventesimo secolo. Il nostro approccio attuale nel campo dell’arte è molto diverso; non vogliamo sbarazzarci del passato: lo abbracciamo solo per dimostrare quanto fossero errati i suoi giudizi, di modo da poterlo tagliare a pezzi e ricucirlo in modo diverso. Questo stesso atto di riscrittura non costituisce solo la tanto attesa correzione dell’ingiustizia nel sistema dell’arte, ma anche la pretesa di potere dei nuovi attori che cercano di definire le questioni cruciali del sistema dell’arte: chi ottiene visibilità e cos’è la qualità.
E che dire della moralità del mondo dell’arte? Sebbene la sua ideologia ufficiale celebri ancora il punto di vista critico anti-denaro e anticapitalistico, la pratica quotidiana mostra che le relazioni tra artisti e galleristi sono diventate più commerciali. Molti artisti non solo hanno goduto del successo economico, ma lo hanno anche perseguito; oggi non è insolito vedere artisti indossare Balenciaga, volare in business class, e comprare casa. Ritengo che il successo economico sia un cambiamento positivo, dal momento che gli artisti dovrebbero trarre profitto dal loro successo al pari di chi svolge altri lavori. Intendiamoci però, oggi si parla di lavoro e non più di vocazione. Gli artisti accettano di lavorare con le gallerie e le lasciano quando pensano di poter avere migliori opportunità di carriera; ogni settimana le gallerie annunciano di rappresentare nuovi artisti, quindi le loro agende si ingrossano proprio come i prezzi gonfiati dei giovani artisti alle aste.
L’arte contemporanea come attraente risorsa sociale, culturale ed economica ha continuato a stimolare la crescita di nuove istituzioni in tutto il mondo. Sebbene il sistema occidentale domini ancora la produzione e la valorizzazione dell’arte, l’Asia e l’Africa hanno rivendicato sempre più la loro rilevanza. Abbiamo visto diversi importanti musei privati sorgere in luoghi che un tempo erano la periferia del mondo dell’arte. L’attuale entusiasmo per l’arte africana e il sorprendente potere d’acquisto dei collezionisti asiatici sono stati certamente forze trainanti per il mondo dell’arte globale in espansione. È il gusto dei nuovi attori che ha aperto le porte a un’arte accessibile a spese della rilevanza storica dell’arte. Concordo con uno degli intervistati, l’esperto di mercato dell’arte Marion Maneker, che la “democratizzazione” non è priva di pericoli poiché non è facile mantenere sia la qualità che l’originalità quando si produce arte su scala industriale, ma nel contempo amo l’enorme energia ed entusiasmo del nuovo.